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di Roberto
Bracco
Capitolo 6:
Il mio primo arresto
1. Finalmente
anch'io fui arrestato!
1a.
Eppure
Dio non aveva perso il controllo!
1. Finalmente
anch'io fui arrestato!
La persecuzione
cominciava ad infierire contro la chiesa e già molti
avevano fatta l'esperienza dell'arresto, degli
insulti, delle minacce.
In ripetute circostanze le
riunioni erano state interrotte dall'intervento degli
agenti di polizia ed i fedeli raccolti nel luogo,
generalmente una casa di abitazione, tradotti al più
vicino commissariato.
Io
non avevo ancora avuto questa esperienza e mi
giudicavo defraudato di un privilegio.
Ero stato sempre assiduo alle
riunioni e sempre avevo continuato la mia attività
pubblica di cristiano, ma i piani di Dio mi avevano
tenuto fuori da simile circostanza.
Quando l'arresto era stato
effettuato in una casa, io mi ero trovato in un'altra
casa, e così pur avendo presenziato regolarmente alle
riunioni di culto, ero stato risparmiato.
Ma
finalmente, e questo finalmente sta ad indicare l'ansia
di poter combattere in prima linea con tutti i
credenti, venne la volta mia.
Ero in una piccola e poverissima
casa di un fratello residente nell'estrema periferia
della città; casa che si componeva di un solo vano
adibito a tutti gli usi che generalmente vengono
riconosciuti ad una casa.
Non eravamo in molti; probabilmente la grande distanza
dal centro della città, unita alla scomodità di strade
appena tracciate e sempre ricche di fango o di polvere,
rendeva questo luogo, in quell'epoca che segnava solo il
principio della persecuzione, il meno frequentato fra
quanti erano disponibili.
Avevamo iniziato la
riunione di culto da circa venti minuti ed
eravamo impegnati a cantare, con voce così
flebile che pareva sospiro, un inno spirituale,
quando con limpeto delluragano la
porta fu aperta sotto la violenza di una spinta
vigorosa e, prima ancora che ci rendessimo conto
di quanto stava accadendo, tre o quattro
individui, scalmanati e violenti, ci ingiunsero
di sospendere il canto e di alzarci in piedi.
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Lingiunzione era
completamente superflua, perché la violenza dellazione
aveva spento il canto sulle nostre labbra e in quanto allalzarci
in piedi lo avevamo fatto in ubbidienza allistinto.
«Seguiteci!» -ordinarono
gli sgherri, - e subito aggiunsero: «Siamo
comandati dal Gruppo rionale».
Non
erano agenti di polizia, ma fascisti inviati sul
posto da una delle tante spie delle quali in quellepoca
si serviva il regime dittatoriale che schiacciava lItalia.
Tutti rimanemmo
sereni, benché lintervento dei fascisti
poteva significare la consumazione di qualsiasi
illegalità e di qualsiasi violenza.
Le pagine della più
recente storia italiana grondavano ancora sangue
per le bravate delle schiere nere e non cera
nessuno di noi che ignorasse di quanto erano
capaci, anche a solo scopo sadico o intimidatorio,
i così detti gruppi rionali cioè
quei distaccamenti e compartimenti che
rappresentavano il partito nei diversi quartieri
della città. |
La nostra serenità e
la nostra tranquillità produssero forse unimpressione
favorevole su quegli uomini, perché, senza insistere
oltre nel loro contegno di violenza, ci fecero uscire
dalla casa e, sotto gli occhi incuriositi del vicinato,
fra i quali forse non erano assenti quelli del
compiacente delatore; ci fecero incolonnare uno dietro l'altro;
quindi ci divisero ai due lati della fila e ci fecero
mettere in cammino
Lungo
la strada ci coprirono con i loro motteggi e i loro
lazzi, ai quali noi rispondemmo, talvolta con
dignitoso silenzio, e talvolta con opportune
citazioni bibliche atte a chiarire il fine della
nostra speranza e della nostra fede.
Giungemmo finalmente alla sede
del gruppo. Sale, salette, corridoi; alcune
arredate con lusso ed eleganza, altre abbandonate all'incuria
e al disordine; forse le une per i gerarchi o per le
cerimonie più o meno ufficiali, le altre semplicemente
per gli iscritti o per le attività sociali; noi fummo
lasciati in un cortile all'aperto sotto la vigilanza di
uno sgherro.
Dopo poco incominciarono ad
accorrere i curiosi: frizzi acerbi, minacce violente,
tutto si riversò sopra di noi e l'uno ci prometteva uno
schiaffo e l'altro proponeva alla compagnia di
somministrarci una di quelle abbondanti dosi di olio di
ricino per le quali, assieme ai manganelli, si erano resi
tristemente celebri.
1a.
Eppure
Dio non aveva perso il controllo!
Nessuno ci fece nulla, perché, sapemmo in seguito,
erano in attesa della decisione del fiduciario, cioè
del capo del gruppo.
Nessuno ci fece nulla, perché, come ha detto
Gesù, neanche un capello del nostro capo può
cadere a terra senza l'approvazione di Dio e
quindi senza che questo rientri nel piano di Dio.
Iddio
voleva che il nostro esercizio fosse progressivo e
per quella volta ci fece conoscere solo l'emozione
dell'arresto, la prova degli insulti e degli scherni
e l'esperienza delle minacce.
Il fiduciario, dopo averci fatto
attendere all'aperto per alcune ore, prese una benevola
decisione: «Chiamate gli agenti di
polizia del più vicino commissariato», egli
disse, «e consegnate loro
questi individui».
Attendemmo ancora un poco di tempo, utile ai fascisti per
continuare i loro scherni, e quindi giunse un agente di
polizia. Si fece consegnare i nostri documenti,
trascrisse diligentemente le nostre generalità e alla
fine sentenziò: «Potete
andare».
Quando
uscimmo da quel luogo, eravamo tutti gioiosi,
più che per la liberazione avuta, per la grazia
realizzata in Dio per rimanere sereni e
tranquilli nella prova sostenuta per il Suo nome.
Trepidanti
e pieni di gioia, raggiungemmo una casa ove sapevamo
di trovare diversi fedeli e tutti ci unimmo per
lodare Iddio in questa esperienza e soprattutto per l'aiuto
e la grazia dei quali ci era stato prodigo.
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